Non è semplicemente uno scritto “nostalgico” velato di melanconici ricordi. Vi è certo, nella prima parte, una lontana tristezza nelle parole vergate da Giuseppe Zanella. Ma poi giunge l’impeto che contraddistingue l’animo di chi non si accontenta di osservare lo scorrere anonimo del tempo, con tutte le sue conseguenze, ma ne vuole dare puntuale descrizione. Ecco allora che egli mette in luce, con disincantato distacco, le varie problematiche che avvolgono la nostra situazione, contribuendo poi a tracciare con lucidità i contorni di alcune possibili soluzioni. Una lettura istruttiva, da qualunque parte della “storia” ci si trovi seduti.
di Giuseppe Zanella
Anche quest’anno ho potuto godere di serene vacanze trascorse nel paese dove sono nato: Lozzo. La vecchia casa materna soddisfa ormai soltanto alla mia esigenza di un refrigerio estivo, unito alla intima gioia che sempre mi procura questo mio periodico ritorno alle origini, l’abitare quelle vecchie mura che evocano in me nostalgici ricordi di quando quella dimora echeggiava delle voci e della presenza di tutti i miei cari. Il ritorno costì, con la riapertura della casa avita, mi procura sempre una dicotomia di sentimenti, di contrastanti sensazioni: da un lato infatti l’arrivo rallegra il mio animo e mi fa rivivere, con un improvviso tuffo nel passato, gli anni della mia pubertà e della mia giovinezza; dall’altro, paradossalmente, questa rivisitazione del luogo che più di ogni altro rappresenta le mie radici ed il mio passato, intride il mio animo di intima malinconia in un coacervo di rimembranze di episodi lieti e meno lieti.
Rivedo come fosse ieri fotogrammi di vita, persone care, fatti, situazioni, luoghi, tutti rimasti in modo indelebile nella mia memoria (sono trascorsi invece molti decenni!). Quest’anno contingenti ragioni hanno fatto sì che molto del mio tempo fosse trascorso in solitudine (mio figlio e mia moglie hanno potuto soggiornare a Lozzo soltanto per un paio di settimane, mentre mia figlia ha voluto trovarsi un lavoro in quel di Laggio e pertanto la sua permanenza nella vecchia casa era limitata al solo pernottamento). Sarà forse per questo motivo che il mio “passato” è potuto riaffiorare così prepotentemente e la malinconia si è fatta più che mai sentire. Ho cercato di ovviare con molte buone letture e con le passeggiate con gli amici di sempre: il Dr. Franco Casoni e l’Ing. Gaetano Baldovin. Per me insomma, ormai attempato, il soggiorno in paese significa incontri con la gente, dialogo con i conoscenti, in particolare con gli amici che, come me, dimorano fuori e rientrano nei mesi estivi. E, sovente, i colloqui vertevano e vertono sul raffronto che gli oriundi, gli ‘autoctoni di ritorno’ sono soliti fare fra il paese che è stato e quello che ora è. Molto spesso il confronto veniva e viene impostato sulle variazioni intervenute anche nell’ultimo anno….
E quanti cambiamenti un occhio attento può scoprire!! E non sempre, purtroppo, si tratta di mutamenti in positivo. Quanti problemi presentano i borghi di montagna!
La crisi economica morde forse più che altrove, poche sono rimaste le piccole realtà artigiane ed industriali del comparto occhiali; nonostante il gran parlare che si fa, uno sviluppo turistico è di là da venire, langue la ricettività, compressa come è dalle maggiori (anche se non eclatanti) opportunità offerte dai paese vicini (per non dire dell’impari raffronto con le offerte esterne, in particolare quelle del vicino Alto Adige). La denatalità, l’invecchiamento della popolazione, la fuoriuscita dal circuito economico delle giovani leve, la sottrazione di servizi essenziali, la mancanza di valide infrastrutture nel settore viario e dei trasporti costituiscono tutti elementi di una realtà che preoccupa la intera collettività e dovrebbe impensierire le civiche amministrazioni locali. Queste ultime, con le dovute eccezioni, si stanno pronunciando con tutta una serie di auspici encomiabili finché vogliamo, ma non forieri, fin qui, di concreti ed efficaci provvedimenti.
Manca, a modesto avviso di chi scrive, una visione di insieme ed una forza contrattuale da spendere in campo politico con la dovuta urgenza ed efficacia. Le ragioni possono essere individuate, ad esempio, nella carenza dei numeri (più la montagna spopola, meno essa può contare nelle sedi deputate alle decisioni politiche con mirati interventi a sostegno dello sviluppo), oppure, magari, nella qualità stessa della classe dirigente politica che non sa mettere in campo una azione coordinata per farsi valere. Sta di fatto che la situazione denota uno stallo ed una visione limitata all’ambito dei campanili, senza un valido ed opportuno coordinamento ed una sintesi delle istanze da portare avanti. Ogni Comune pensa al suo particulare senza preoccuparsi di far adottare da Roma come da Venezia o da Belluno provvedimenti generali atti all’indispensabile rilancio della Montagna.
Il tutto con una progettualità che spazi dal rilancio del turismo (con l’introduzione, ad esempio, del concetto dell’”albergo diffuso”), alla cura del territorio (con politiche favorenti l’accentramento della frastagliata proprietà fondiaria da parte di società miste pubblico-private e la cura selettiva del bosco con la creazione di un reticolo di strade di penetrazione, con la ripresa in grande stile dello sfalcio dei prati); dall’insediamento di infrastrutture su strada e su rotaia, alla creazione di realtà di ricerca scientifica in fattiva collaborazione con atenei veneti e non solo (penso ad un polo per le nanotecnologie, oppure ad un centro di ricerca sulle politiche agricole-silvo-pastorali-zootecniche); dalla riproposizione di una agricoltura di montagna su nuove basi (incentivi per la creazione di stalle sociali e sviluppo di prodotti lattiero caseari con marchio locale cadorino), alla incentivazione e sviluppo della industria e dell’artigianato del legno (con lo sviluppo del commercio del legname e ad incentivi per la creazione di nuove realtà di segherie e falegnamerie); dalla ricerca e dallo sviluppo della rete museale e dei siti di archeologia-industriale, al recupero dei centri storici ed al conseguente blocco dell’utilizzo del territorio con il divieto di nuovi insediamenti abitativi (seconde case nelle zone verdi trasformate, per speculazioni edilizie, in aree edificabili).
Tanto altro ancora ci si potrebbe ‘inventare’ per dare nuovo impulso ai languenti borghi della nostra montagna. Per ora, purtroppo, questa inversione di tendenza negativa sotto il profilo civile, sociale ed economico non è alle viste per l’acuirsi della crisi, il profilarsi di nuovi tagli alle pubbliche finanze, il venir meno di servizi assistenziali e sanitari essenziali e quant’altro. A Venezia come a Roma contiamo assai poco per evidente carenza dei numeri e per l’assenza di figure politiche di spicco che sappiano farsi portavoce delle nostre giuste istanze. Se l’andamento attuale dovesse continuare per un paio di generazioni la situazione diventerebbe veramente tragica per il permanere della vita in montagna.
I consiglieri regionali della pianura ed i deputati nostrani, invece di parlare di autonomia o, quanto meno, di vera specificità del Bellunese (e del Cadore in particolare), preferiscono eludere i problemi parlando genericamente di eventuale specificità della montagna in generale, con questo procrastinando alle calende greche l’esigenza di affrontare situazioni di grave disagio che richiederebbero tassativi, urgenti e radicali rimedi. Sappiano lor signori che se non si salva la montagna anche il destino della pianura apparirà presto compromesso…Non sono un pessimista e tanto meno un disfattista: quello che ora ho appena scritto è quanto effettivamente vedo, constato e sento: spero solo di aver dato un modesto contributo al fine di svegliare dal torpore chi può e DEVE intervenire.