di Giuseppe Zanella
Nel susseguirsi incessante di rimembranze e testimonianze di questi giorni in occasione del 50° anniversario di quell’immane tragedia che ha colpito la nostra terra, ho provato anch’io un forte sentimento di mestizia e di rimpianto per quanti allora perirono in quel gorgo di acqua, fango e detriti, in particolare per quelle persone che condivisero con me parte del mio periodo formativo nell’ambito della scuola. In quel 1963, frequentavo la IV classe dell’Ist. Tecnico P.F. Calvi di Belluno e vivevo a pensione presso la famiglia di un compagno di scuola. Ricordo nitidamente quella mattina del 10 Ottobre, alle ore 7, allorquando venni svegliato da un altro studente che, con gli occhi sbarrati, mi dette l’annuncio che “la diga del Vajont era crollata, che Longarone era distrutta, che il Piave era ingrossato e che già fluitavano molti cadaveri verso Borgo Pra”.
Il mio pensiero corse subito ai miei compagni di classe e di sezione dimoranti in quel comprensorio: Cosma Renzo, mio vicino di banco, Ciocci, Fagarazzi Maria Luigia e tanti altri. Cosma era un ragazzo solare, estroverso, simpatico, sempre disponibile con tutti. In quella spettrale mattina, nel tragitto verso via Feltre, incrociai vari camion di militari, mentre in cielo volteggiavano gli elicotteri, ed un militare si sporse dal posto di guida per chiedermi l’indicazione del cimitero di Prade… E sul cassone, oltre il telo mal ricoperto, scorsi dei cadaveri completamente ignudi a motivo evidente della furia delle acque. Giunti in classe, il Preside Prof. Giovanni Cocuzza, con gli occhi gonfi di pianto, chiese a tutti noi notizie sugli assenti, se sapevamo qualche cosa circa le loro dimore e le loro abitudini.
Nessuno, quel giorno, osava guardare verso i banchi vuoti su cui, nei giorni successivi, sarebbero stati posati dei mazzi di fiori. Di Cosma, si pensava che si fosse salvato in quanto lui stesso aveva detto che, forse, si sarebbe recato a Treviso, dalla sorella, per godersi la visione in TV della importante partita di calcio programmata per quella fatidica serata. Invece il Destino, anche per Renzo, aveva disposto diversamente. Tutta la sua famiglia perì infatti in quell’immane ecatombe. I fatti di quei giorni sono indelebilmente segnati nella mia mente come fossero accaduti qualche giorno fa.
Ma il ricordo più struggente, che ancor oggi turba il mio animo, è la triste vicenda umana legata alla figura della mia ex insegnante di lettere dell’Ist. Catullo, la Prof.ssa Maria Antonietta Manarin, donna di grande cultura, di squisita sensibilità d’animo e di ‘deamicisiana’ bontà. Ebbene, soltanto due giorni prima del disastro, la incontrai alla stazione di Belluno ed insieme prendemmo l’ultimo treno per Calalzo. Lungo tutto il tragitto, fino a Longarone, chiacchierammo del più e del meno: si informò sui miei studi, sui miei progetti, mi dette preziosi consigli. Ella sapeva che avevo perso da poco la mia adorata Mamma e fu prodiga di incoraggiamenti e di sentita vicinanza al mio dolore. Parlammo poi anche della diga e delle voci che si stavano diffondendo a Longarone su smottamenti in corso. Ella sembrava però non dare soverchio peso a quelle voci, fidando molto sulla conclamata capacità professionale di tecnici, geologi e progettisti. Ci salutammo molto cordialmente.
Mai avrei pensato di non vederla più, che quello sarebbe stato l’ultimo incontro… Povera sig.na Manarin! Quante sofferenze aveva dovuto fin lì sopportare!! Una vita dedicata alla professione, ai suoi amati libri, alla cura dei genitori e del fratello, già brillantissimo studente all’Università di Padova, caduto in depressione e ricoverato presso l’Ist. Psichiatrico di Feltre… Quel fratello che, aduso alle visite settimanali dei congiunti, per anni ed anni avrebbe atteso invano, ogni sabato, la visita dei genitori e della sorella. In quei drammatici giorni risultò evidente l’esigenza della identificazione delle salme rinvenute lungo il Piave. Da poco c’era stato il terremoto di Agadir ed in tale evenienza si erano messi in luce alcuni medici croati molto esperti nel rinvenimento e nella identificazione delle vittime (allora non si conosceva ancora il DNA).
Presso la Provincia e presso la Prefettura di Belluno vennero esposte numerosissime foto dei resti delle vittime del Vajont. Insieme al Prof. Cocuzza (già collega della sig.na Manarin presso la Scuola Catullo) esaminammo attentamente quelle foto ed agli incaricati demmo indicazione su tre possibili ipotesi. Poi, sulla base di alcune notizie (un recente intervento chirurgico subito dalla prof.ssa ed alcune caratteristiche della sua arcata dentaria), demmo a questi medici le indicazioni giuste per la sua certa identificazione. La sicurezza del rinvenimento ci dette la consolazione che almeno la sua tomba potesse recare il suo nome.
Durante la scorsa estate, al mio paese d’origine, Lozzo, si tennero ben due conferenze sul Vajont: l’una presso la sala Pellegrini e l’altra presso l’Auditorium. A quest’ultima parteciparono sia il maestro Olivier, autore di un celebre libro sulla tragedia, che l’arch. Migotti, presidente della associazione Superstiti. In questa circostanza avvicinai il maestro Olivier e da lui seppi che il fratello della prof.ssa è anch’egli ormai scomparso in completa solitudine. Del padre della mia ex insegnante esiste, tuttavia, almeno un ricordo impresso su di una targa bronzea collocata nell’atrio della ex Cariverona a memoria degli ex dipendenti periti nel disastro.
Mi sovviene ora, di quel periodo, l’odissea dei trasbordi da Fortogna a Castellavazzo, superando i blocchi stradali degli ertani, per il settimanale rientro in Cadore. Nel 1966, vissi l’esperienza di insegnante precario alla Scuola Media di Castellavazzo e Longarone ed ho sempre presente la visione serale, all’uscita dalle riunioni dei docenti, di quella immensa pietraia fiocamente illuminata da qualche luce sparsa qua e là a presidio dei pochi prefabbricati dei cantieri, allora in allestimento.
Ed il compianto Don Demetrio De Riz mi invitava alla recita di una prece per tutte le vittime; io aderivo pensando a Cosma, a Ciocci, alla Fagherazzi ed alla indimenticabile, sfortunata, dolcissima Prof.ssa Manarin.