[…] Ogni persona volontaria che ci ha preceduto negli anni ha lasciato un’impronta importante e un contributo prezioso. La Biblioteca attuale è la risultante di tutto questo lavoro svolto in circa 25 anni di attività.
A meno di non considerare la biblioteca di allora – quella nata 40 anni fa, cioè “circa” 15 anni prima dell’attuale 🙂 che, a sua volta, sarebbe la risultante di “circa” 25 anni di attività -, come la biblioteca di un dio minore. Ma questo io non credo (cit.).
Era comunale, co-mu-na-le. Ci avevamo anche il “comitato di vigilanza” eh!: “Mario Da Pra (presidente), prof. Fioravante Zanella, maestra Bettina Lovarini e Giosuè Baldovin”. C’erano 1.370 volumi (ma c’erano anche quelli “della Risveglio”, uno su tutti: L’origine delle specie di Darwin). E andavamo a Feltre alla libreria Pilotto, anche, poffarbacco, a fare incetta di libri. E c’era l’eleganza e la gentilezza di Nanuto Moma (Giovanni Zanella Moma) che affiancavo nell’aprire al pubblico l’ambaradan.
E quella biblioteca, così lontana nel tempo, produsse anche una qual certa attività culturale: mi ricordo, per esempio, che quando ci spostammo dalla “palestra delle Medie” alla sede di via Trieste (mi ricordo molto bene quello spostamento perché il trasloco dei libri lo feci, al 100%, personalmente: me medesimo), allestii in biblioteca una piccola mostra fotografica della Casera de le Fede con qualche “poster” che brevemente ne descriveva la storia (così la gente veniva a dare un’occhiata alla piccola mostra e… se ne usciva con un libro sotto il braccio).
Dai, che non è poi così difficile!
(qua-ran-ta! il numero naturale dopo il 39 e prima del 41; io tarzan, tu gein!)
Per la prima segnalazione di quest’oggi vorrei partire dall’immagine che accompagnava l’articolo apparso sul Gazzettino di Belluno il 25 marzo scorso, che il BLOZ ha a sua volta messo in evidenza, che dava conto delle mie perplessità (espresse puntualmente nell’articolo a briglie sciolte…) sugli interventi svolti lungo il corso del Rio Rin, in particolare riguardo alla situazione delle briglie.
In tale immagine appariva centralmente, sul lato sinistro, un “cubo di cemento”, laddove passava la linea dello scarico fognario prima che la brentana se lo portasse via. Da tale cubo – in realtà un chiusino posto lungo lo scarico – spuntava lateralmente, come si evidenzia nelle immagini che seguono, un innesto a curva. A che serviva questa curva?
Era una specie di valvola di “troppo pieno”. Eh, sì! Lo scarico fognario a valle di questo chiusino, per chissà quale ragione, con flussi di scolo sostenuti… rigurgitava e si riempiva di brutto fino a “far saltare” i chiusini d’ispezione (invece di confluire nell’impianto di depurazione). La soluzione trovata per ovviare al malfunzionamento fu geniale: il cubo col buco. Il flusso che occasionalmente tornava indietro (flusso di ritorno) riempiva il tubo fognario fino a trovare la curva, dalla quale usciva per finire nel Rio Rin.
Un bel dì, mentre rimiravo i lavori in fase di svolgimento lungo il Rio Rin, trovandomi a pochi metri da una riunione “sul campo” alla quale partecipavano “personalità e tecnici”, sento pronunciare questa frase: “… e poi lì bisognerà rimettere a posto quel troppo pieno…“. Così, sentii il bisogno di intervenire: “Eh no, cari signori, visto che la brentana ha messo buona parte dello scarico “con le gambe all’aria”, a quel malfunzionamento dovrebbe essere trovata una soluzione definitiva, non palliativa com’è quella del troppo pieno”. Cosa sia stato deciso al riguardo non si sa. Tutto ciò detto… solo perché si sappia.
La seconda segnalazione consegue alla prima. Dal giorno della brentana (4 settembre 2016), per tutto il periodo dei lavori (sospesi circa a metà dicembre) fino ad oggi, lo scarico fognario è stato gettato nel Rio Rin con, immagino, grande sollievo dell’impianto di depurazione che quell’acqua nera non la deve più trattare. Provo a immaginare cosa sarebbe successo se ad inquinare un corso d’acqua come il Rio Rin, come sta succedendo ora, fosse stato un privato, anche solo con un… tubicino.
Inoltre va ricordato che tutti gli utenti che, in forza di un obbligo istituzionale, essendo collegati alla fognatura pubblica, pagano tale servizio di smaltimento in bolletta al Gsp, lo stanno facendo anche se il medesimo non è per nulla erogato. Anzi, pagano per inquinare (e non viceversa). Tutto ciò detto… solo perché si sappia.
Ora, va bene la cosiddetta “emergenza”, ma che da allora lo scarico fognario sia ancora… a cielo aperto, non mi sembra sia una gran bella figura.
(per chi sostiene che l’acqua in fuoriuscita dalla fognatura si può quasi bere, allego anche qualche foto dalla quale si può dedurre che no, meglio non berla, quell’acqua…)
Il paesello, già nell’aggiornamento relativo a settembre 2016 del bilancio demografico del Cadore, quanto a saldo migratorio, era in seconda posizione con -21,7 ‰ (al primo posto c’era S. Nicolò di Comelico con -22,2 ‰). Aggiornando la situazione a novembre 2016 siamo passati al primo posto con -23,9 ‰. Del resto, già con l’aggiornamento a luglio si profilava un exodus.
Ed è un nuovo record assoluto: anche nel 2015, quando il saldo totale aveva raggiunto vette da pandemia, -34,2 ‰ (terzo peggior risultato tra 21 comuni del Cadore), quello migratorio s’era fermato a -20,9 ‰. Si tratterà poi di capire, tra chi se n’è andato, quale sarà la quota italica e quale quella straniera (com’è andata finora lo vedete qui).
Accanto al sindaco che vigila sulla conclusione dei lavori post-bomba d’acqua, trovano posto anche le perplessità di un cittadino residente. Perplessità argomentate e documentate nei seguenti articoli:
“Lozzo – Qualcuno aveva segnalato da tempo la mancanza di manutenzione e il conseguente intasamento dell’alveo del rio Rin, condizione che si è rivelata complice del disastro. Claudio Calligaro, dopo aver analizzato il pregresso sposta l’attenzione su un altro aspetto delle sistemazioni idrauliche post brentana. “Si può dire di aver messo in sicurezza l’alveo – si chiede ora – quando la linea di pendenza tra le briglie di un tratto a ridosso del paese, per effetto della colmatura, è la massima possible? Il materiale che ha colmato lo spazio tra le briglie, se lo avesse già trovato occupato, sarebbe fluito a valle. Inoltre, per i piedi (e anche le spalle) del ponte che si trova a ridosso delle briglie, non sarebbe più salutare avere a monte una platea svuotata di deposito piuttosto che un lavello, per di più di massima pendenza, che sembra fatto apposta per convogliare il materiale con maggior velocità? Tutto ciò detto avendo in testa un evento come quello accaduto il 4 settembre. Nel dubbio, io lo avrei svuotato”
Un po’ di tempo fa ho brevemente descritto e documentato non la carenza, la mancanza totale di manutenzione e conseguente pulizia dell’alveo del Rio Rin, segnatamente nel tratto urbano che, per sua natura, è “sotto gli occhi di tutti”, situazione che ha certamente inasprito gli esiti nefasti della “montagna d’acqua” che lungo quel corso ha dovuto passare (in altre parole, si è lasciato e permesso, negli anni, che l’occupazione progressiva della vegetazione lungo il corso d’acqua creasse ostacoli al deflusso riducendo la sezione di piena); qui di seguito i due articoli:
Vorrei ora spostare l’attenzione su un altro aspetto delle sistemazioni idrauliche post brentana che mi lascia perplesso. Guardando lungo il corso del Rio Rin a monte del ponte, si possono scorgere tre briglie costruite dopo l’alluvione del 1966. Queste opere hanno il compito di evitare l’erosione dell’alveo riducendo la pendenza media del corso d’acqua e quindi la sua velocità.
Nella prima delle foto a corredo si vede la sequenza delle tre briglie: le prime due, in zona “percorso Roggia”, la terza, più vicina, che potremmo identificare come “quella del ponte”. Della briglia più in alto si vede il muro frontale e la platea libera da materiale alluvionale; le due briglie più in basso risultano invece quasi coperte dal materiale alluvionale depositatosi durante l’evento “montagna d’acqua” del 4 settembre 2016.
Che si tratti del materiale alluvionale dell’ultima brentana lo si deduce dalla linea temporale della sequenza delle foto, dalle quali risulta che il materiale alluvionale ha colmato la linea di pendenza tra la seconda briglia e quella “del ponte”, portandola al suo valore massimo (la stessa cosa vale per il tratto tra la briglia “del ponte” e quella successiva verso valle).
Ora, la mia perplessità è questa: si può dire di “aver messo in sicurezza l’alveo“, formula magica che s’è sentita enunciare così tante volte, quando la linea di pendenza tra le briglie – si badi bene, in un tratto a ridosso del paese – per effetto della colmatura, è la massima possibile? Il materiale che ha colmato lo spazio tra le briglie, se lo avesse già trovato occupato, sarebbe fluito a valle (e non è tanto l’acqua che erode, ma il materiale che essa porta con sé). Inoltre, per i piedi (e anche le spalle) del ponte che si trova a ridosso delle briglie, non sarebbe più salutare avere a monte una platea (svuotata) di deposito piuttosto che un lavello , per di più di massima pendenza, che sembra fatto apposta per convogliare il materiale con maggior velocità?
Tutto ciò detto avendo in testa un evento come quello accaduto il 4 settembre: se, invece, in futuro si alterneranno “brentanelle” (anche nel caso di aga granda), potremmo essere spettatori dello svuotamento “indolore” e per via naturale del materiale che ora colma lo spazio tra le briglie. Nel dubbio, io lo avrei svuotato (ma, si sa, ci vogliono i schei che, a quanto pare, mancano).
ecco di seguito una seconda serie di immagini che illustrano quanto poco ci voglia, là dove gli alvei dei torrenti vengono lasciati a se stessi, per generare barriere “vegetali” che si oppongono al fluire delle acque e di tutto ciò che le medesime trasportano a valle (con le ovvie conseguenze che ognuno può ora vedere con i propri occhi).
V’è da dire che la “montagna d’acqua”, così l’ha definita il sindaco, pur nella sua eccezionalità, non è riuscita a “sradicare” la vegetazione che tanto rigogliosamente prosperava (vedi anche post precedente), tanto è vero che, parte di essa, la si riscontra ancora ben radicata nelle foto qui proposte e scattate dopo l’apertura delle cateratte del cielo.
Segno, se mai vi fosse il bisogno di sottolinearlo, che la manutenzione dell’alveo con l’estirpamento della vegetazione infestante – segnatamente nel tratto in cui il Rin scorre adiacente alle case del paese – sarebbe stata (ed ovviamente è) doverosa e imprescindibile e avrebbe con ogni evidenza mitigato significativamente le conseguenze che sono oggi sotto gli occhi di tutti.
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