di Cagliostro
Leggo l’intervista rilasciata dal sindaco di Lozzo al giornalista Bepi Casagrande su Il Cadore dello scorso mese di Ottobre. Oggetto dell’intervista l’ipotesi del Comune Unico del Centro Cadore ventilata dal Consiglio Comunale di Lozzo, che ha votato alla unanimità una risoluzione che conferisce il mandato al primo cittadino di “avviare un confronto con gli altri sindaci per capire se il percorso che porta alla unificazione è praticabile”. Idea, questa, condivisibile anche se si deve essere consci che una operazione del genere presenta non poche difficoltà di natura tecnica e non solo. Un tale disegno di generale riassetto degli enti locali rientra, del resto, negli intendimenti dell’Esecutivo il quale, dopo aver messo mano alla ristrutturazione delle province, intende ora procedere alla rivisitazione degli assetti degli oltre 8000 comuni italiani.
Va detto che la proposta del civico consesso lozzese dovrà essere attentamente valutata, soprattutto sotto il profilo del rapporto costi/benefici, giacché non è per nulla scontato, come invece sembra ai più ottimisti, che la attuazione di un tale disegno ‘epocale’ porti necessariamente alla realizzazione di utilità varie, compresa la realizzazione di economie e compressione dei costi dei vari servizi alla più estesa platea dei cittadini della presunta nuova entità territoriale. Fatta questa doverosa puntualizzazione, mi corre comunque l’obbligo di precisare che l’idea ora espressa dal ‘sindaco pindarico’ (per usare una espressione cara al nostro redattore) può benissimo costituire una base di discussione fra la popolazione del Centro Cadore (non solo, quindi, a livello “istituzionale” ma coinvolgendo categorie, associazioni e, più in generale, l’intera comunità nelle sue diverse articolazioni) ed un avvio di un dibattito e di una accurata analisi sulla utilità e sulla fattibilità di un tale ambizioso progetto. Personalmente, vedrei molto più utile una aggregazione di comuni su basi più ridotta e di più accentuata omogeneità ed affinità. Per esempio, una unione dei comuni di Lozzo, Auronzo e dell’Oltrepiave dalla quale uscirebbe un ente con oltre i programmati 5000 abitanti e con un territorio dalla caratteristiche storiche, fisiche, economiche e sociali molto simili. Capisco però che la mia natura è molto più modesta e non aliena a voli pindarici e sono pertanto pronto a riconoscere, magari, maggiore dignità ad un progetto più ampio ed ambizioso.
Detto questo, voglio precisare che quello che a me fa sorgere qualche perplessità non è quindi l’idea in sé (la cui primogenitura non è certamente ascrivibile all’intervistato, anche se a lui va riconosciuto il merito di aver riportato di attualità il disegno) ma il tono e le argomentazioni addotte, in via preliminare, per motivare e giustificare il lancio della proposta. Trascuro di sottolineare la intervenuta mutazione nel pensiero manfrediano sull’argomento, rispetto a solo un anno fa, mutazione del resto messa bene in evidenza dal redattore in un suo efficace intervento di qualche giorno fa. Un personaggio di spicco del mondo politico di qualche tempo fa diceva che chi non cambia mai opinione dimostra di essere fossilizzato e mette in mostra un certo grado di stupidità (osservazioni giusta, basta che la mutazione non sia troppo frequente e non riguardi temi e materie di pregnante rilievo). Insomma, che il sindaco voglia rilanciare e promuovere la propria immagine e visibilità politica è più che legittimo ed io non intendo certo fare il processo alle intenzioni di chicchessia.
Ma non mi sta bene che, magari per raggiungere un tale obiettivo, si giunga al punto di affermare che la causa del declino del Cadore sia da ricercarsi nella frammentazione territoriale e che “…. La divisione campanilistica abbia impedito qualsiasi azione strategica sul piano economico ostacolando qualsiasi possibilità di sviluppo capace di guardare al futuro. Questo sul piano produttivo ma anche su quello infrastrutturale e dei servizi”, mi sembra francamente, più che una seria analisi, una vera e propria forzatura non corrispondente alla verità storica e pertanto storicamente e culturalmente fuorviante. Le divisioni campanilistiche c’erano anche nei decenni scorsi ed anche allora esisteva – più marcata – la mancanza di infrastrutture e servizi, eppure eravamo considerati la piccola “Svizzera italiana”, dotata di un humus artigianale, industriale, economico, civile e sociale di primo ordine…
La concione del sindaco si addentra poi in valutazioni circa quelle che manfredianamente vengono definite “responsabilità delle municipalità del passato” e “sulle pesanti responsabilità della classe imprenditoriale che non ha mai pensato ad unire le forze. Per non dire della società civile!”
Conclusione: la frammentazione sarebbe non solo “un problema di confini territoriali ma anche di crescita civile e volontà umana”. Nella acuta analisi del nostro, la frammentazione e lo spirito campanilistico –‘ difficile da guarire’ – sarebbero “una grave malattia”. Ed il diagnosta conclude che la “malattia dobbiamo guarirla”. Per quanto concerne le responsabilità presunte della classe imprenditoriale, sommessamente, faccio soltanto presente, per contestare un tale assunto, che la gloriosa fabbrica ‘Borca’ era nata a Lozzo dalla lungimiranza di due noti innovatori locali (Eusebio Borca e Tini Scotin) che si erano associati a due calaltini ( Luigi De Bon e Mario Trenti)…
Già in occasione della esternazione sui lavori al Rifugio Ciareido, avevamo potuto leggere, da parte del sindaco, affermazioni sopra le righe e giudizi alquanto fuori luogo sulla disponibilità della gente di Lozzo a sostenere l’onere del rifacimento del tetto della struttura gestita dal Cai. Qualcuno ha replicato per le rime ai “bonari” rimbrotti paternalistici del capo-comune. Ora il nostro ci riprova tranciando giudizi e facendo analisi strampalate sulle presunte cause antiche e recenti alla base del nostro decadimento. Caro sindaco, evita di addentrarti in valutazioni storiche e socio-economiche in quanto questo, per te non autoctono, è un terreno minato: le tue analisi sono del tutto soggettive, non certamente corrispondenti ad una seria disamina delle cause del declino della nostra terra, cause che sono ben altre e certamente non imputabili al campanilismo, alla frammentazione territoriale, all’individualismo della nostra gente, alla presunta miopia della classe imprenditoriale e, tanto meno, alla mancanza di preveggenza e lungimiranza della società civile. Per capire bene la nostra storia, leggiti almeno i testi del Fabbiani od il più recente volume scritto dal Dr Francesco Zanella e troverai lì la indicazione dei prodromi e le cause prime del nostro declino.
Non illuderti quindi che dalla eventuale unificazione dei comuni sortiscano risultati miracolistici e che si possa ottenere, come da bacchetta magica, una rinascita civile, sociale, economica della nostra comunità; forse – ma non è detto – si getteranno le basi per realizzare qualche economia di scala nei costi della erogazione di alcuni servizi ed una migliore visibilità politica (ma, purtroppo, credo, non molto altro). Il mio, bada bene, non è nero pessimismo, è cruda e pragmatica valutazione della realtà e delle prospettive a medio termine della nostra infelice situazione.
PS Riconosco al sindaco solo una importante attenuante per le sue soggettive valutazioni: va giustificato in quanto non è stato testimone del nostro vero, fattivo passato remoto e prossimo. Del resto, non va lasciata cadere senza rilievi la sua pretesa di ‘pontificare’ su di una storia che, con tutta evidenza, non si è dato la pena di studiare.
Sui ‘pro’ ed i ‘contro’ della prospettiva unificatoria, mi riprometto di intervenire in un prossimo…passaggio.