C’è chi, oggi, si può permettere di vivere la quotidianità della propria Autonomia e, nel contempo, ricordare quanto siano profondamente spinte nel passato le sue radici. Traggo da un interessante articolo che andrebbe letto per intero:
L’Autonomia trentina compie 900 anni. Nel luglio del 1111, nove secoli fa, nasceva la Magnifica Comunità di Fiemme, e con essa il riconoscimento delle autonomie territoriali, consacrate nei Patti Ghebardini sottofirmati dal potere centrale.
In un tempo in cui le autonomie speciali sono messe in forte discussione nel nostro Paese, e giudicate dai più come un privilegio – un ingiusto privilegio – rispetto allo status di altre province e regioni italiane, forse ai trentini sono chiesti una maggiore consapevolezza e uno scatto in più rispetto alla stizzita reazione di chiusura e di autocompiacimento, di fronte alle invidie e alle contestazioni che ci provengono dalle regioni vicine e dallo stato centrale. […]
Spesso, infatti, nei trentini non c’è coscienza di cosa significhi nel profondo «Autonomia», e cosa ciò comporti, anche nella diversità di modo di governare e di gestire i beni pubblici.[…]
E la continuazione ai giorni nostri di un modo di gestire e di amministrare la «res publica» in maniera diversa, mutualistico e con la responsabilità diretta di tutti, senza delegare ma attraverso un controllo sociale diffuso. Non basta avere le competenze e i soldi per potersi dire «autonomi». Occorre anche sapersi governare da soli, averne le capacità e la legittimazione diffusa, e soprattutto mostrare di saper amministrare in maniera diversa rispetto ad un potere centrale, riuscendo a governare meglio, con minor spesa, meno sprechi, più risultati e maggiore coinvolgimento (e responsabilità) dei cittadini. […]
E, presto o tardi, verranno meno anche le risorse e il riconoscimento esterno della propria legittimità ad essere considerati «autonomi». Del resto lo diceva lo stesso Alcide De Gasperi: «Le autonomie si salveranno, matureranno, resisteranno, solo a una condizione: che dimostrino di essere migliori della burocrazia statale, migliori del sistema accentrato statale, migliori soprattutto per quanto riguarda le spese…». […]
Le Comunità rurali del Trentino facevano così: gestione del bene collettivo in maniera democratica, custodendo e controllando l’uso che se ne faceva, attraverso una diffusa coscienza di diritti e doveri. Noi oggi abbiamo ridotto i Comuni ad enti erogatori di servizi, secondo l’impostazione napoleonica, che è sempre stata ostile alle autonomie.
Ricordare in questi giorni i 900 anni dei «Patti Ghebardini» deve significare questo: riattingere alle sorgenti cosa vuol dire «autonomia» per tradurlo in fatti. Altrimenti ci resterà un grande, pomposo, autocelebrativo simulacro, ma grattando un po’ scopriremo che dentro è vuoto. Basterà un po’ di vento avverso per farlo crollare su se stesso.
Anche la Magnifica Comunità di Cadore può vantare una storia plurisecolare. E’ del 1200 il laudo di Candide, del 1321 quello di Auronzo. Ma è del 22 agosto 1188 l’atto col quale Auronzo cede Sovergna a Lozzo in cambio di Larieto. Un’ Autonomia durata fino all’arrivo di Napoleone. E persa definitivamente, soprattutto nel cuore, con l’arrivo dello Stato italiano.
Quest’ultimo, occupante al pari di quello austriaco, ma accolto dai cadorini con un flebile sorriso di speranza, non tardò a palesarsi per quello che era, ipocrita alfiere della libertà e spietato vessatore. Fu così che ci vedemmo imposta la più odiata fra le tasse, quella sul macinato, mai prima pretesa, neanche dai francesi. E piombammo quindi dalla povertà dignitosa alla più acuta indigenza, non lasciandoci altro spazio che l’emigrare in terre lontane. Dolorosa piaga, quest’ultima, da affiancare alla seconda e più spaventosa che lo Stato italiano ci avrebbe di lì a poco imposto, ammantandola di bieco patriottismo, la Grande Guerra.
Da segnalare il recente fremito referendario per Belluno Autonoma, sterilizzato dal gerontocomio della Corte di Cassazione e, solo di qualche ora fa, la non approvazione alla Camera della norma, presentata dall’IDV, che prevedeva la cancellazione delle Province. La norma, certamente voluta come misura di contenimento della spesa pubblica e razionalizzazione della infernale macchina statale, avrebbe avuto come logica conseguenza, perlomeno per quanto riguarda la provincia di Belluno, lo strangolamento di qualsiasi anelito autonomista, per quanto essi appaiano, allo stato, niente più di un fremito.