Del deamicisiano avvicinamento della sappadina volante al sindaco dei sindaci abbiamo già detto ieri. Ci tocca ora un altro pietoso ufficio. Pur essendo la sua elezione un atto “incestuoso” tra sindaci, la figura del presidente della Provinciazza è pur sempre istituzionale. Sicché, per quanto legittima, ‘sta storia sulla scadenza del referendum va oltre l’aria frittissima, giungendo ai confini del nulla.
Diciamo subito che l’affermazione “Si può ancora parlare di volontà popolare dopo nove anni?” va considerata in sé: cioè, escludiamo che gli sia venuta in mente in seguito all’avvicinamento della sappadina che, con o senza lacrimuccia d’ordinanza, gli avrebbe chiesto di fermare l’iter (diversamente dovrei cambiare registro linguistico, adottando farciture boccacesche…). Riproponiamo (grassetto nostro):
Padrin ha già lanciato il suo appello contro l’addio di Sappada: «L’altra sera mi ha avvicinato una ragazza sappadina, chiedendomi di fermare l’iter. Si può ancora parlare di volontà popolare dopo nove anni? La raccolta di firme forse andrebbe considerata. Io più di così non posso fare, la partita ora si gioca su tavoli diversi, ma continuo a dire che si sta creando un precedente pericolosissimo. Da parte mia c’è preoccupazione e anche dispiacere».
Lo capite no? Uno neanche va più al circo, basta leggersi un giornale. Qui non si parla di “quorum sì, quorum no”, si parla di scadenza di un istituto, quello referendario, sancito costituzionalmente. Tu fai il referendum e poi ti diamo “xyz” tempo per attuare ciò che hai deciso: se non lo fai… puff, si torna alla casella precedente (e perdi tutto). Il gioco dell’ocone.
Un popolo sovrano a tempo. Il problema è che se lasciavi ai sappadini la ratifica del loro referendum, perché il Parlamento niente di più doveva fare – ratificare la volontà popolare espressa dai cittadini di Sappada nel solco costituzionale (mica bau bau micio micio) – l’avrebbero fatta, la ratifica, seduta stante. Invece tocca aspettare che un parlamento di marmellata decida, a suo piacimento, in spregio al voto sovrano dei cittadini (nel solco costituzionale, ridaje), se la cosa vada discussa o meno (eventualità che comprende il sovvertimento del voto popolare, non trattandosi – ormai l’han capito anche i pinguini – di semplice ratifica).
Non sembra anche a voi probabile (se non ovvio) che se Sappada non volesse davvero più passare in Friuli il comitato per il Sì non sarebbe, così com’è ancor oggi, vivo e combattivo, ma si sarebbe spento da sé, soffocato da una stronzaggine di Stato all’ennesima potenza?
Infine: al recente referendum provinciale “vuoi tu il principe azzurro e tutti i suoi averi mobili ed immobili…” i bellunesi hanno risposto convintamente “Sì” con una percentuale, considerata la piaga dei residenti all’estero, di assoluto valore. A quanto si sa il nostro super-Padrin si sarebbe speso pro-causa a colpi di comizi (ben due al giorno).
Bene: immaginiamo di lasciar passare nove anni (ma anche tre, quattro…) e poi chiediamoci: Si può ancora parlare di volontà popolare dopo nove anni?
(per Sappada, attendiamo in religioso silenzio il verdetto parlamentare definitivo: ma sarà davvero definitivo? 🙂 )