cala la popolazione e Lozzo cambia: quale futuro all’orizzonte? (analisi sociodemopatica)
Il demografo bolcomiano rilevava nello spopolino (il bolcom di fresca distribuzione) la perdita di “Oltre 400 abitanti in meno di 50 anni”. Noi abbiamo fatto notare che il 70% di quei 400 abitanti (persi) l’abbiamo perso negli ultimi 11 anni (che il 30% l’abbiamo perso negli ultimi 4 anni, che il 12% l’abbiamo perso l’anno scorso).
Dicevamo anche che, vestendo i panni del sociodemografo (o del demosociologo), egli si è lanciato in una rievocazione di rara intensità nostalgica, ricordando quanto belli fossero i frutaruó e i becher che allora (quando eravamo in 1.800) c’erano e oggi (che siamo in 1.383) non ci sono più.
Nel dare quella nostalgica descrizione il nostro sembrerebbe mettere in relazione diretta il numero dei “negozi” con lo spopolamento (grassetto nostro):
Lo spopolamento è il male moderno della montagna. Un male che colpisce e trasforma i nostri paesi. Prendiamo Lozzo. In questi 50 anni tutto è stato ridimensionato. C’erano due distributori di benzina, oggi ne è rimasto uno. Dei sei fruttivendoli ne restano due, dei due panifici ne rimane uno. Una anche la macelleria al posto di tre che negli anni ’60 lavoravano bene insieme ad una polleria, una rosticceria e una pescheria. Sono scomparse anche le sartorie per uomo e donna e i negozi di scarpe e giocattoli. Dei quindici bar ne sono rimasti tre più due inseriti nei ristotranti operanti in paese.
Nessun cenno, da parte del sociodemografo, ad altri tipi di dinamiche che, più potentemente del semplice calo o aumento della popolazione, condizionano numero e distribuzione degli esercizi commerciali.
Lo spopolamento è il male… che colpisce e trasforma i nostri paesi… in questi 50 anni tutto è stato ridimensionato.
Ecco quindi i frutaruó passare da 6 a 2. Ma se ci fosse una relazione diretta tra numero di esercizi e popolazione, è questa la profonda convinzione che il nostro sembra avere, ci dovremmo aspettare un numero di frutaruó attuali pari a 4 (se erano 6 con 1.800 abitanti, cioè un frutaruó ogni 300 abitanti, oggi ce ne dovrebbero essere 1.383/300= 4,6).
Stesso ragionamento con i bar: ce n’erano 15, dice, oggi sono 5 (3 bar/bar + 2 bar/ristoranti). Quindi c’era un bar ogni 120 abitanti: allora oggi ce ne aspetteremmo 1.383/120=11,5 (e invece sono meno della metà).
Terribile anche il destino delle macellerie (becarie): ne è rimasta una, ma ce ne aspetteremmo due (delle tre che c’erano, sempre in virtù di una mera proporzione tra abitanti), tanto più che rinunciamo a una polleria, una rosticceria e una pescheria. V’è poi da dire che il panificio che ha chiuso i battenti l’ha fatto prima del tracollo demografico (quello iniziato 11 anni fa e che vale il 70% degli abitanti persi).
Meraviglioso – un saggio d’amarcord di vibrante tensione emotiva – il passaggio sulle sartorie per uomo e donna: scomparse! Peccato non aver avuto allora neanche una bottiglieria: chissà quante ce ne sarebbero ora.
Però si dimentica, il sociodemografo & demosociologo, di accennare al fatto che alla caduta dei frutaruó & C. v’è stata la compensativa apparizione di un negozio grosso-grosso che gli amerikani chiamano supermarket. Inoltre il nostro accenna alla presenza di due distributori di benzina affermando che “oggi ne è rimasto uno”. Io mi ricordo, per averla vista in fotografia, della pompa vicino al bar la Rosa, nella “mezzaluna” davanti l’oreficeria De Meio. Mi sembra che già alla fine degli anni ’60 (cioè all’inizio “di questi 50 anni“) non ci fosse più (lo dico con beneficio d’inventario), sicché parlare di “due distributori” (tra l’altro non so l’attuale quando sia stato aperto) mi sembra davvero una forzatura.
L’interepida analisi sfiora anche l’offerta turistica: pensate, scomparsi i tre alberghi e le due pensioni operanti negli anni ’60. Quale tremenda potenza lo spopolamento! Tanto più se si pensa che l’offerta a cui ci si riferisce scomparve non al raggiungimento della perdita di 400, ma bensì di sole 150 persone.
Ciò detto per argomentare l’affermazione riportata nel precedente articolo secondo la quale il nostro sociodemografo “in quanto a demografia si dev’essere formato nelle peggiori scuole di Caracas“.
(se la vena demosociopatica del nostro si fosse potuta sviluppare adeguatamente, avremmo ora il privilegio di poter valutare nella sua interezza il quadro del ridimensionamento cui il paese, suo malgrado, s’è dovuto assogettare a causa dello spopolamento: barbieri, parrucchieri, tabaccherie, fiorerie, officine meccaniche, oreficerie, ottiche, mercerie, ferramenta, imprese funebri; tutto sarebbe passato al setaccio di questa ferrea analisi. Peccato non aver affrontato lo spopolamento dando un fugace sguardo alle dinamiche della popolazione scolastica: in effetti, quest’ultimo parametro è grandemente influenzato dai grossi centri acquisti della bassa, per cui l’analisi sarebbe stata funestata da errori sistematici! Sarà per la prossima volta.)