ancora due righe e mi tagliavo le vene (oltre Cortina, l’altra montagna è in svendita)
A suo modo è un pezzo magistrale. Non può indagare tutte le facce di una realtà complessa come quella cadorina, ma quello che dice, anche quando sfodera una dolorosissima ironia, fotografa una realtà per molti ancora inconfessabile: il Cadore sta cadendo a pezzi. Alessandro Baschieri, In due minuti:
Oltre Cortina, l’altra montagna è in svendita (“affari” in vista)
C’è un’altra montagna. E la porta che divide i due mondi è il passo Tre croci. Se dal Paese dei balocchi risali verso Misurina per poi ridiscendere in Cadore, non puoi fare a meno di notare che i centri abitati cambiano persino colore.
Non c’è punto nella cartina dolomitica dove il contrasto sia così forte. A un paio di litri di benzina dagli ingorghi della sfavillante Cortina – dove quest’anno più che mai era difficile entrare, un sogno parcheggiare, impossibile dormire – si ascoltano i silenzi di Pieve, Domegge, Vigo e Auronzo. Che non saranno località attrezzate per il grande turismo invernale ma restano la faccia scura della luna ampezzana. Lungo la strada che da Tai porta al Comelico, un bivio non solo stradale, nei giorni delle feste erano rare anche le luminarie. Un’altra valle. Ma di lacrime. Sempre con un’aria un po’ depressa, di abbandono.
L’ultimo dell’anno nella prima località del Cadore, Auronzo, la metà dei locali era chiusa e se non era per due-fuochi d’artificio-due fatti sul lago, un marziano non avrebbe capito che si festeggiava San Silvestro. Una famiglia con due bambini in piazza Santa Giustina (che sarebbe la piazza del mercato), strade deserte e un petardo in lontananza. Ha fatto di più il parroco che a mezzanotte ha suonato le campane. «Fino a qualche anno fa accendevo la musica a tutto volume – raccontava il titolare di una rosticceria lungo la via principale – e solo io facevo 3-400 euro di fuochi. Oggi quei soldi li risparmio che son tempi duri. Non vede in quanti hanno chiuso?». Da un anno all’altro è cambiata la gestione di chissà quanti negozi. Occhialerie comprese. Molti cadorini – diciamolo, non tutti hanno un moderno senso degli affari – hanno rinunciato ad affittare per pochi giorni nella speranza di monetizzare l’intero periodo di vacanze e sono rimasti con un pugno di mosche. I cartelli vendesi sono appesi a decine e decine di abitazioni private. E a voler credere alla ripresa ci sarebbe di che fare affari: si trovano appartamenti a 80-100 mila euro che solo qualche anno fa si vendevano al doppio. Vere occasioni.
Ma c’è da credere a questa ripresa? Daniela Larese Filon, presidente della Provincia di Belluno che per inciso è pure sindaco di Auronzo, un po’ ci crede e un po’ ci spera. «Lei racconta scenari non molto diversi da quelli di altre città, anche di pianura. È pur vero che il Bellunese deve puntare sul turismo e il Cadore non fa abbastanza, ma avremmo bisogno di sostegno. E di strutture ricettive più agili: Bed and Breakfast per esempio, visto che aprire un albergo è diventato impossibile. Segnali positivi comunque ce ne sono. In questi anni abbiamo perso oltre 200 aziende dell’occhialeria ma quelle rimaste sono solide e stanno ripartendo. Assumono». A volerci credere, a volerci sperare, in Cadore ci sarebbe spazio anche per qualche investimento redditizio. Se la strada è davvero quella indicata dai primi segnali e il Cadore è solo un po’ in ritardo, a lungo andare potrebbe persino rendere.