Cancellazione delle province: tutta colpa (o merito?) di Bottacin
Non doveva. Non doveva proprio. Lui, il giovane presidente leghista della Provincia di Belluno, non avrebbe dovuto protestare davanti al trio TBC chiuso dentro all’hotel Ferrovia di Calalzo di Cadore. Men che meno con la bandiera della provincia listata a lutto. E soprattutto non avrebbe mai dovuto dire “prima rispondo ai miei cittadini, poi alla Lega”.
Sia l’Umberto che il Semplificaroli hanno visto in questo malsano atto l’emergere di una sindrome di proporzioni bibliche, il sopraggiungere della più perfida delle malattie, quella autoimmune. Quella in cui è il tuo stesso corpo che impazzisce ed inizia a riconoscere come estranee le parti che lo compongono. Ed allora, se sono estranee, queste parti vanno lasciate a se stesse o, peggio, vanno eliminate, distrutte.
Il demonio di Gemonio aveva detto “le province non si toccano, se vai a tagliarle la gente può ribellarsi”. Ed ecco allora la soluzione: eliminarle tutte.
Meglio se per via costituzionale, come è dovuto, per il fatto che queste invenzioni per gestire il territorio (la spartizione partitocratica sul territorio), sono richiamate dalla Costituzione. Nella Carta si parla di loro. Quindi per cancellarle bisogna metter mano alla sua modifica. Traduzione: non cambia niente, e se cambia, abbiamo di fronte tempi lunghissimi. Ed una buona scusa: la Costituzione non si cambia dall’oggi al domani.
E poi, salvo “i piccoli” che non hanno ancora messo radici sugli scranni provinciali, nessun partito rinuncia a cuor leggero alle poltrone provinciali, men che meno il PD, che di province ne ha parecchiotte. E poi, lo smantellamento dell’architettura provinciale comporta la soppressione o perlomeno il ridisegno di un insieme variegato di enti (prefetture, questure, provveditorati, agenzie …) e ciò richiede una profonda azione riformatrice che questo governo non ha. Si prevedono quindi, tempi bui.
Il Nano ed il demonio di Gemonio si sono chiusi ad Arcore. Ed il demonio ne è uscito con la coda fra le gambe. Altro che finito! Silvio è ancora in piedi, ed è lui ad avercelo duro, non il demonietto padano.
Foto: Corriere delle Alpi