NOSTALGICHE RIMEMBRANZE
di Giuseppe Zanella
La giornata d’Aprile è finalmente limpida, il sole riscalda l’atmosfera con i suoi raggi che danno finalmente l’agognato tepore. Tutto sembra preludere ad una afosa estate. In giardino sento le tortore ed i merli amoreggiare giulivi. Una ragazza canta la sua giovanile felicità, di certo nutrita ed intrisa di progetti e d’amore. Il mio animo però non è in sintonia con il clima, non asseconda questa atmosfera e questa Natura che aleggia per l’aere e che dovrebbe rendere felici tutte le creature, anche quelle che, come me, vivono ormai la così detta terza età. Le membra sono stanche, i pensieri rincorrono gli eventi davvero numerosi di un passato ormai carico di anni e di nitidi ricordi. Mi assale una tristezza infinita ed inconsueta, penso sempre più al tempo che è scorso e che scorre veloce ed inesorabile ed ai rimpianti che mi procurano le opinabili scelte operate, penso agli errori commessi, alle tante ‘omissioni’ ed alla scala di valori e priorità non sempre valutata con saggezza e perspicacia.
Sono solo in casa, mi aggiro per le stanze silenziose, penso a come queste mura risuonassero, fino a qualche anno fa, del gioioso vociare e delle grida allegre dei miei figli cresciuti troppo in fretta ed ora lontani. Mi avvicino alla libreria, osservo le foto dei miei cari scomparsi e quelle più recenti e felici dei miei famigliari colti in particolari momenti e circostanze. Scorro veloce qualche libro… A caso ne traggo uno, leggendo la copertina, il titolo e l’autore: si tratta dell’opera di Mario Rigoni Stern “Aspettando l’alba”. Leggo la dedica di mia figlia: “Natale 2006/ Eccoti un bel libro di Rigoni Stern (che tanto finirai in poche ore). Mi raccomando, lasciati ispirare da questo grande scrittore per il tuo libro di memorie che stai ‘elaborando’. Un bacio ed un abbraccio dalla piccola di casa”.
Regalo allora certamente gradito, che ora rileggo tutto d’un fiato, accorgendomi che i vari racconti si addicono più che mai al mio attuale stato d’animo e sono sulla lunghezza d’onda di ciò che, all’epoca, l’autore provava guardando a ritroso le sue infinite vicissitudini di guerra e del dopoguerra con la rivisitazione, in chiave nostalgica, della sua fanciullezza vissuta felicemente nella sua Asiago e quella degli anni in cui la sua matura vena artistica si era manifestata nella pienezza della terza età. Struggenti ricordi, lieti e tristi, si affastellano in questi racconti, concisi ma molto efficaci nel delineare situazioni e personaggi. Quello dello scrittore vicentino è un “continuo viaggiare nel tempo con tenacia” e la sua molla rievocativa può essere data da un semplice rinvenire le lettere del tempo di guerra in una ingiallita cassettina riscoperta in soffitta, oppure lo sfogliare un vecchio atlante da cui “sbalzano ricordi vivi di noi vagabondi dentro la storia su nevi lontane”.
Episodi alcuni dei quali insopportabili come quello del soldato che, inascoltato, grida invano ‘aiuto’ sulla neve che lo va ricoprendo; altri sono poi gli episodi che suscitano nel lettore un mesto sorriso come quando Rigoni allude alle patate rubate qua e là nella steppa al fine di non nuocere ad un solo contadino (oh! benedetta sensibilità d’animo, pur in quei tristi frangenti!!), patate tratte dal terreno ghiacciato con un bastone chiodato: “patate con chiodo, specialità della ditta Tardivel e Rigoni”. In questo rimembrare specifici episodi di una vita intrisa di sofferenza, testimonianza di drammi e patimenti inenarrabili, l’autore rivisita in chiave letteraria la sua umana non comune avventura e fa rifulgere pagine di storia e di vissuto anche personale davvero di grande interesse artistico e documentale. Il tutto è poi soffuso di quella elegia, di quella “triste serenità” che sgorga dall’animo di un uomo in pace con sé stesso, consapevole di aver adempiuto al proprio dovere di cittadino e di soldato, di aver tanto sofferto per la realizzazione di un nobile ideale: servire lealmente la Patria e difenderla dalla oppressione straniera.
Quel Rigoni Stern che, giovinetto, avevo seguito ad Auronzo in una sua conferenza sui valori storico-culturali della lotta di liberazione ed anche in numerosi successivi interventi radio-televisivi, mi appare ora, pure prescindendo dal suo indubbio talento letterario, un uomo dalla grande nobiltà d’animo, un uomo amante della vita e della natura, un artista sensibile, delicato e buono, un cantore impareggiabile del Creato e delle qualità umane che rendono la vita degna di essere vissuta. Nel libro vengono evocati fatti di inaudita crudeltà contrapposti ad esempi di ‘discreto’ altruismo senza ‘fronzoli’, tipica caratteristica sia del corpo degli alpini come della bontà d’animo e della compassione di taluni contadini dimoranti nelle isbe steppiche. E da questa contrapposizione fra cattiveria e bontà ed altruismo scaturisce la sottolineatura della complessità dell’animo umano e della manzoniana predilezione di Rigoni nel mettere in risalto il valore universale della soccorrevole mutualità ed assistenza nel bisogno.
Altre contrapposizioni, altri ossimori letterariamente validi descritti in questa opera del Rigoni, comprensiva di ben 19 racconti, si possono trarre, ad esempio quando l’autore descrive l’ambiente bucolico dell’Altopiano dei 7 Comuni e la placidità agreste del suo borgo natio negli anni dell’infanzia e poi in quelli della terza età; il tutto ‘condito’ con le rievocazioni di episodi di caccia e con la osservazione sul fluire delle stagioni e sui cicli vitali della flora e della fauna locale. E la alta qualità letteraria di questi racconti sta giustappunto anche nella contrapposizione fra la descrizione del felice quadro dell’ambiente di “casa” con la tetraggine della descrizione della campagna di Auschwitz e della vita condotta nel lager.
Un contrappunto quanto mai valido, una specie di nemesi storica in questa descrizione dello squallore e della struttura del lager e dei luoghi circostanti rivisti a distanza di molti anni, in una geografia ed in una morfologia del tutto mutata ma pur sempre tristissima agli occhi di chi in quel posto era vissuto in modo così inumano. E la nemesi, il clou della rimembranza e della “compensazione” è magistralmente descritta in quella mela che Rigoni coglie e sbocconcella sul posto dove sorgeva la sua baracca, quasi a voler significare e saldare un conto con la Storia e gli eventi inenarrabili ivi vissuti: una mela tanto agognata in quelle lugubri giornate del 1944 ed assaporata dopo tanti anni, pur con un retrogusto amaro e “riparatorio”.