fusioni: non tutti i sindaci belano bellamente
Ho detto più volte che un sindaco coi coioni si sarebbe visto solo alla prova costume della (possibile) fusione. Ma non era (e non è oggi) la fusione imposta dallo Stato italiano di mermellata. Tanto meno la fusione obbligatoria per i comuni “sotto i 5000 abitanti” (cioè il 70% dei comuni italiani) proposta dalle scimmie del PD.
Troppo facile, l’ho sempre detto e scritto, correre come levrieri dietro alla finta lepre dei risparmi “da aggregazione”: risparmi un cazzo. Le antenne ti si dovrebbero rizzare solo al fatto che lo Stato (di mermellata) ti premia, se ti fondi, con soldi che non ti dice dove vada a trovarli, se non – evidentemente – togliendoli ad altri comuni, almeno fin che dura il gioco (diversamente dovremmo attenderci un boom dell’economia che non solo non s’è sentito, ma segnali incontrovertibili sono per un flop di quella che sembrava una debolissima ripartenza). Perché se tutti fossero obbligati a fondersi, il senso del “benefit” verrebbe meno. Ribadisco: per dare i soldi ad A-B, che si sono fusi, dovrebbero toglierli a C e D che non lo sono ancora. Ma se C-D dovessero decidere di fondersi (nell’ipotesi che possano decidere), dove cazzo vanno a prendere i soldi? Ah, no, me ne scordavo: li tolgono a Roma Capitale. Ma vaffangà va!
In questo senso, da quanto leggo sul CorrierAlpi (Fusioni: «Ecco perché noi diciamo di no»), sembra di capire che non tutti i sindaci belino bellamente rincorrendo fusioni improbabili solo perché “andrebbero di moda” (e qualche giorno fa s’è fatto sentire anche il Comelico: Fusioni tra Comuni: il “sacro furore” non fa presa ovunque):
L’ incontro è stato proposto: «per la convinzione che vi sia la necessità di alzare la voce rispetto all’ideologia delle fusioni sventolata ai quattro venti», spiegano i sindaci aderenti all’iniziativa, «con cui si vorrebbe giungere presto allo svilimento e desertificazione di comunità, storia e montagna». […]
Tanti i Comuni presenti: Soverzene, Voltago Agordino, Gosaldo, Taibon Agordino, Alleghe, Livinalongo del Col di Lana, Rocca Pietore, Cesiomaggiore, Sovramonte, Seren del Grappa, San Gregorio nelle Alpi, Zoppè di Cadore, Ospitale di Cadore, Perarolo di Cadore, Borca di Cadore, Cibiana di Cadore, Tambre, Chies d’Alpago, Comelico Superiore, Arsiè, Sospirolo, Danta di Cadore (assente giustificato), Domegge di Cadore (assente giustificato), Lamon (assente giustificato), Valle di Cadore (assente giustificato) e San Tomaso Agordino (assente giustificato). «Ma è solo il primo incontro e chiunque sia interessato può partecipare», precisa Scopel, che spiega anche alcune delle ragioni del no: «La prima è economica: la fusione non risolve i problemi della spesa pubblica italiana. Eliminare tutti i comuni sotto i 5 mila abitanti porterebbe a un risparmio dello 0,1%, mentre sappiamo che il 70% della spesa pubblica è statale.
In secondo luogo i “regali” della fusione non risolvono il problema principale della montagna, cioè lo spopolamento e infine i servizi: dove c’è un comune ci sono servizi alla popolazione, se il territorio si allarga si riducono anche le prestazioni fondamentali ai cittadini»