RIMEMBRANZE DEL MONDO AGRICOLO – L DESPOIA’ DE NA OTA E LE STRANE SOE RECONDITE FINALITA’
di Giuseppe Zanella
Fino agli anni ’50 l’urbanizzazione delle località Cerchio, Soravia, ‘l Lago era di là da venire: tutto era terreno ‘vergine’ prativo-seminativo, solcato soltanto da sentieri e stradine sterrate ad uso agricolo interpoderale. L’attività agricola nelle predette località ed in tutta la campagna prospiciente l’abitato (Filuoi, Piniede, Ceraia ad ovest; Pradelle e Colis a sud-est; Maneada, Malvaò, Le Astre a est/nord-est; ‘l Lago, Soravia, Costa e Piaze a nord/nord-ovest) proseguiva, sul far dell’autunno, con il 2° e 3° taglio dell’erba medica (autivoi), con la ultima cura degli orti e, ove necessario, con la seconda sarchiatura dei campi.
A Settembre inoltrato e fino a metà Ottobre ci si dedicava infine al raccolto. Tutta l’area agricola appariva veramente multicolore, in linea con quello che faceva ormai vedere il contiguo bosco a latitudini appena leggermente superiori (faggi, abeti e larici davano pennellate tizianesche al paesaggio, ora però il ‘fenomeno’ è assai più contenuto e più monocromatico per la soverchiante presenza delle abetaie); la gamma dei colori nelle vicinanze del paese andava, insomma, dal verde delicato dei prati che avevano subito l’ultima falciatura al giallo paglerino dei campi di granoturco con fogge diversificate (a solchi lineari od a solchi quadrati), dal verde carico dei campi di patate, alle sfumature cromatiche diversificate degli appezzamenti destinati a segale e mais.
Davvero il ‘contorno agricolo’ del paese dava l’idea di un vestito di Arlecchino le cui toppe variopinte avevano strutture e forme geometriche le più disparate. E l’insieme, come da foto d’epoca, costituiva sicuramente un quadro originale di pregio. Ricordo nitidamente come l’intera zona di Costa, Poravine, Soravia e ‘l Lago, in quella stagione, pullulasse di donne e ragazze ricurve sui campi di patate, armate di zappe per dissotterrare i preziosi tuberi; altre donne invece, con la gerla sulle spalle, erano dedite alla raccolta delle pannocchie. E l’aria, in quei giorni ancora tiepidi, mossa soltanto da una leggera brezza, era tutta pervasa da allegri, armoniosi suoni, che andavano dal ritmico rumore delle zappe che rompevano le zolle, al melodico ‘gorgheggiare’ delle donne (giovani e meno giovani) che si producevano nei canti antichi della tradizione locale.
Mi risuonano ancora nelle orecchie canti come “Su par Costa l’è ‘n bel trodo, su par Costa a portà l dei”, o l’altra, più ritmica: “T’as fede, t’as ciaure, te monde ogni dì, che vosto Marieta pì ben de così”, oppure ancora l’altra più melodica “Nina l’è qua l’inverno”. Ed a queste multiformi voci canterine, non di rado, faceva da controcanto il cuculo che, da Pianizzole o dai Ciantoi, emetteva i suoi garruli e gai suoni. L’intera atmosfera, in quel sito, emanava un senso di serenità, semplicità ed allegria ed i carretti erano già sulla strada sterrata sottostante, in attesa del loro prezioso carico fatto di pesanti sacchi stracolmi specialmente di patate e di pannocchie di granoturco. Sul far della sera poi, scaricato il pesante fardello delle patate sull’impiantito delle cantine e ‘sversate’ le pannocchie in apposito locale (tanto da far apparire quest’ultimo disseminato di tutta una serie di collinette), consumata in fretta una parca cenetta, subito ci si affrettava con il procedere all’operazione del “despoià”, ossia del togliere le foglie modificate e protettive delle citate pannocchie, foglie definite anche con il termine di brattee.
Tutta la famiglia era ‘schierata’ e c’era sempre l’ausilio del parentado e dei vicini (aiuto vicendevole). Su quelle montagnole di pannocchie si assidevano, su appositi sgabelli (scai), anche le giovin signorinelle di casa con le amiche del vicinato, tutte in trepida attesa di essere coadiuvate dai baldi giovanotti che non tardavano mai di fare la loro comparsa al fine di dare una mano… L’intendimento di questa bella gioventù era quello di fraternizzare molto ‘intensamente’, magari dando la stura alla concretizzazione di certi legami e simpatiche intese, il più delle volte già sbocciate sulla strada che conduceva alla latteria per il conferimento serale del latte… Ed i posti più ambiti, nelle serate dedicate al ‘despoià’, erano stranamente già predeterminati su sgabelli disposti in modo da consentire colloqui ravvicinati e collocazioni non casuali. Quando si dice che strategia e tattica coincidevano ed erano funzionali ad uno scopo ben preciso!! Ed in questo le signorinelle davano dei punti anche al famoso generale tedesco Karl von Clausewitz…
Nelle medesime serate, ad una certa ora, venivano intonate le solite, nostrane canzoni sopra richiamate e c’era perfino il ‘break’ per il caffè rigidamente d’orzo, miscelato con un goccio di buon vino rosso o grappa, come di prammatica. E su tutto, in ispecie sulla ‘incolomità’ delle donzelle e sul tenere a bada la (scarsa) loquacità dei potenziali spasimanti, vegliavano le solerti, attente madri, zie, sorelline e fratelli minori; gli uomini di casa erano invece indaffarati ed interamente assorbiti nella mansione di preparare i covoni (“cavalote”) formati dalle pannocchie meglio riuscite, da unire in grappoli da esporre nelle soffitte aperte, a diretto contatto con aria e sole.
Ma la annotazione più importante da fare è che in quelle innocenti serate, letteralmente trascorse immersi nel granoturco, nelle pannocchie, nelle barbe delle brattee, nei ‘pitonate’ e nei ‘muzoi’, su tutto aleggiavano preminenti gli sguardi pudichi e sfuggenti delle timide donzelle, anelanti ai primi palpiti d’amore, i cui languidi rossori e gli incarnati vermigli formavano un tutt’uno con i colori delle pannocchie più mature; era poi assai divertente osservare i maschi visi degli spasimanti in erba, intimiditi e resi incerti dalla presenza del numeroso ‘convivio’, mentre l’ascolto degli imbarazzati, titubanti, ‘tronchi’ discorsi di questi dongiovanni in do minore appariva, a chi non fosse direttamente coinvolto in questo sottile gioco di approcci fra gentil sesso e potenziali partners, perfino esilarante.
Ma è proprio in questi ‘primitivi’ ed incerti approcci che, all’epoca, si intuivano le possibili sentimentali evoluzioni, le larvate empatie in fieri che mettevano in luce, all’attento parentado, i possibili sviluppi di auspicate, prossime relazioni. E la riprova di queste prassi erano i tanti fidanzamenti ed i numerosi sponsali che, in quegli anni, trovavano il loro felice coronamento partendo proprio dalle ‘sedute del despoià’, preludio (o corollario) di accompagnamento della donzella a “portà ‘l late a la lataria”, con sosta di prammatica lungo la ‘fiorera’ (già serra del dr Sebastiano Venzo) per un approccio più discreto, magari con lo scocco furtivo di un fugace, innocente bacino; il tutto mentre il secchio, improvvidamente appoggiato sul muretto degli orti, restava in attesa della sua destinazione finale, non sempre puntualmente osservata…
Ed allora il latte faceva il percorso a ritroso e la trepida ragazzotta doveva escogitare, su due piedi, delle plausibili giustificazioni, spesso aiutata in ciò dalla fervida fantasia del moroso in erba. Ma era ben difficile “infinocchiare” i cerberi genitori della fanciulla i quali magari, molti anni addietro, erano passati per la stessa esperienza (alias stessa strada della fiorera).