ALMANACCANDO FRA LETTERATURA E FILOSOFIA SPICCIOLA
di Giuseppe Zanella
Leggere e, soprattutto, scrivere sono sempre state le mie passioni, il mio diletto. Mi ha sempre molto ‘intrigato’ e coinvolto, fin nelle più intime fibre del mio essere, rovistare nel passato, sviscerando e scrutando accadimenti, eventi, tradizioni, leggende, episodi e fatti attinenti la mia Terra, la storia delle generazioni che in essa si sono succedute e tutto ciò che è stato il ‘vissuto’ dei miei avi e l’intreccio delle loro vicende personali che hanno determinato i loro legami affettivi, le loro esistenze, invero assai grame. Ho sempre trovato molto suggestivo e gratificante analizzare l’evolvere di una civiltà contadina -quella giustappunto della mia Terra natia- con i suoi riti ancestrali, i suoi misteri, i suoi segreti, le sue curiosità, le sue credenze, tutto ciò, insomma, che costituiva e costituisce il patrimonio “genetico” di un popolo la cui storia affonda le sue radici nei secoli e nei millenni.
Che sarà mai questa innata voglia di conoscenza del mondo in cui si viveva nel passato, questo insopprimibile, nostalgico desiderio di guardare indietro nel tempo che ho trascorso e di cui ho perfetta memoria ed in quello, dilatato, alle epoche che non ho direttamente conosciuto? L’ineluttabile trascorre del tempo con i mutamenti che inesorabilmente si verificano sotto i più disparati profili – di costume, civile, sociale, etico-morale, economico, demografico- è foriero e propedeutico all’instaurarsi di sempre nuovi modelli e sistemi di vita caratterizzati da strutture politico-amministrative in continua e non sempre positiva evoluzione. Ed il vorticoso fluire del tempo sovente determina anche l’esigenza di porre a confronto il presente (transeunte) con il passato prossimo (ossia il nostro già vissuto) ed anche con il passato remoto, il quale va ben oltre le nostre esperienze e conoscenze.
Visitando la dimora della mia infanzia, sempre mi assale la commozione ed un groppo mi serra la gola evocando i bei tempi allorquando quelle mura echeggiavano delle voci di tutti i miei cari e l’allegria e la serenità ivi regnavano sovrane. Per me è un po’ il leopardiano “Rimembri” del poeta di Recanati quando scrive: “Silvia, rimembri ancor quel tempo della tua vita mortale…”. E quella mia casa, in cui oggetti ed arredi hanno tuttora, all’incirca, la stessa disposizione che avevano quando i miei vi dimoravano, ha il potere di proiettarmi all’indietro di diversi decenni e farmi provare sentimenti simili a quelli evocati dal grande poeta nel redigere il suo famoso sonetto. E le reminescenze di quel tempo irripetibile ritornano prepotentemente alla mia mente con fatti salienti, episodi di vita lieti e meno lieti, momenti di intensa affettuosità e ‘catechesi’ famigliare ricevuta da genitori, nonni, zia e da tutti i congiunti. Come era piena di emozioni, progetti e costruttivi rapporti quella esistenza!!!
Lo scrittore/romanziere Carlo Sgorlon fa meditare Margherita, la co-protagonista del romanzo storico “Gli dei torneranno”, sul rapporto vero fra lei, essere vivente ma privo di stimoli e di prospettive esistenziali, e le “ombre” di casa (le figure dei suoi cari che ivi erano vissuti), avvertite e sentite come più reali e viventi di quanto non fosse la attempata nobildonna friulana. E le ‘ombre’ venivano immaginate più brillanti e vivaci di lei… Le ‘ombre’ che avevano indossato le vesti ivi religiosamente riposte, che si erano agghindate con gli stessi gioielli conservati in quegli scrigni, che si erano rimirate su quegli stessi specchi, che avevano dormito su quegli stessi letti.
La differenza fra la co-protagonista e le “ombre” era data soltanto dal fatto che Margherita apparteneva ancora al presente, mentre loro, le ombre, erano già entrate nel passato. Sgorlon, attraverso il personaggio di Margherita, si chiede: “Ma che cosa è il presente?” E a Margherita fa rispondere: “Il presente è un punto sempre in perenne movimento, una fiammella di candela che percorre con un moto informe la tenebra sterminata del tempo. Quasi un niente perché non ha durata”. In realtà, per Sgorlon esiste soltanto il passato. Quando Margherita, da giovane, sognava ed almanaccava su di un radioso avvenire, poi non realizzatosi, nella realtà quella medesima Margherita “era già morta perché sdrucciolata silenziosamente nel passato”.
In buona sostanza, “noi continuamente moriamo ed il presente non è che una illusione. Tutto ciò che ci separa dai morti è che noi possediamo ancora un po’ di avvenire, ma un avvenire destinato e trasformarsi rapidamente in passato, attraverso la porta esilissima del presente”.
Tutti noi siamo dei viandanti, siamo dimoranti in questo umano formicaio o alveare che dir si voglia, ci arrabattiamo nella nostra frenetica attività per la ‘sussistenza’, per vivere migliorando i i nostri parametri esistenziali, per dare un avvenire migliore ai nostri figli, per essere (o tentare di essere) felici; tutto ciò senza mai fermarci un attimo a riflettere e considerare che la nostra esistenza è un’inezia nella ‘economia della storia’, un quid insignificante rispetto all’eternità, un pellegrinaggio in una ‘valle di lacrime’, come recita la preghiera mariana, dove l’attimo che scandisce le nostre vite si trasforma subito in passato.
Le sensazioni provate da Margherita anch’io le ho provate e le provo, soprattutto quando rientro nella casa delle mie più intime, struggenti rimembranze. E la nostalgia di quel mio passato condiviso con i miei cari e del passato più remoto dei miei avi induce il mio animo a pensieri “trascendenti”, ad una diversa e ben più elevata e ricca dimora dove auspico e prego di poter approdare, anche -oltre tutto- per accedere all’incontro con le mie “Ombre”, ombre che io avverto, comunque, come reali e vive, con ciò essendo sulla stessa lunghezza d’onda della Margherita uscita dalla penna superba del bravissimo Carlo Sgorlon.