LA RIVINCITA (POSTUMA) DI UN GRANDE STATISTA-MARTIRE
di Giuseppe Zanella
Ho seguito con attenzione il discorso di insediamento del nuovo Presidente della Repubblica. Lo stile del nuovo Capo dello Stato è inconfondibile e ricorda molto da vicino la timidezza, la sobrietà, la mitezza e pacatezza di Aldo Moro, suo mentore politico, il quale sapeva tratteggiare disegni politici alti di medio-lungo periodo con l’acume e la lungimiranza di uno statista di grandissimo livello e spessore. Ma la sobrietà e la pacatezza del maestro politico e dell’allievo non debbono comunque trarre in inganno in quanto dette caratteristiche non escludevano – e non escludono- minimamente la fermezza e saldezza dei principi e la determinazione nel portare avanti e concretizzare le proprie idee e progettualità in ordine alla promozione sociale, civile, economica, culturale ecc. della collettività nazionale oggetto delle proprie attente cure.
Unica nota di diversità formale fra il maestro ed il discepolo stava, e sta, forse, nella sintassi, nelle variegate forme espressive: l’uno, il Maestro, dalla penna faconda, dal periodare articolato e complesso come complesso e ’delicato’ era il disegno politico allora da realizzare; l’altro, il discepolo, dalla scrittura stringata ed essenziale ma non per questo meno efficace. Per inciso, moroteo di stretta osservanza era anche il fratello del nuovo Presidente, Piersanti, Presidente della Regione Sicilia, politico di razza, intelligentissimo e molto versato nell’arte della politica, designato da Moro ad essere suo ‘delfino’ e, purtroppo, trucidato dalla mafia. Ma veniamo ai contenuti della ‘prolusione’ presidenziale.
Mattarella ha toccato vari temi di stringente attualità ma il suo discorso, a mio avviso, merita di essere considerato innovativo e fuori dai soliti schemi della formale ‘routine’ in uso in simili circostanze (l’uomo, tra l’altro, rifugge dal ‘politichese’). Mi limiterò a tratteggiare l’alto profilo socio-politico e l’elevato grado di sensibilità istituzionale che ha permeato l‘intero intervento inaugurale del settennato del Prof. Sergio Mattarella. Come l’on. Mattarella non ha mai evocato direttamente la triste vicenda famigliare che lo ha colpito in gioventù e che ha segnato il suo successivo percorso di vita, così, anche in questa occasione, l’oratore non ha parlato del pensiero politico del proprio mentore, Aldo Moro. Ma non ce n’era bisogno giacché in tutto il suo non lungo discorso aleggia lo spirito moroteo sia per l’alta ispirazione politica in senso lato che per la pregnanza, sensibilità ed attenzione manifestata in ordine ai problemi di natura sociale così drammaticamente venuti in evidenza con la crisi pluriennale che, ahimè!, stiamo tuttora vivendo.
Parlare di emarginazione, di nuove povertà, dell’angoscia delle famiglie senza lavoro e senza alcun reddito di sostentamento, di ammalati gravi in difficoltà e senza assistenza sociale, è segno della particolare sensibilità del Cattolicesimo Democratico la cui matrice si ritrova in Dossetti, La Pira, Moro… Al di là poi degli aspetti doverosamente formali e di deferenza istituzionale, a me pare che il nuovo inquilino del Colle abbia voluto sottilmente marcare alcune differenze di prospettiva con i suoi immediati predecessori, in particolare con il presidente uscente, Giorgio Napolitano; differenze che dovrebbero ben caratterizzare il nuovo settennato. Mentre per Carlo Azeglio Ciampi il compito precipuo è stato quello della ricostruzione del tessuto unitario della Nazione (all’epoca messo in forse dalle spinte secessioniste della Lega), per Napolitano il tratto essenziale è stato quello di tentare di rafforzare la tenuta istituzionale e politica del Paese (messa in discussione sotto le spinte disgregatrici di una classe politica, per buona parte, raffazzonata ed imbelle).
E gli appelli e la moral suasion, spesso inframmezzati a qualche opinabile intervento fuori dagli schemi abituali di interpretazione delle proprie prerogative (“teoria dell’elastico” in materia di vuoto di potere ed inefficacia dell’azione di altre Istituzioni), non hanno sortito, purtroppo, grandi effetti, soprattutto sul piano e nello spirito riformatore che aveva ispirato gli inizi del primo settennato (senza contare il forte richiamo a quello spirito su cui era stato impostato il discorso di avvio del secondo mandato). Fatti questi distinguo di natura ‘operativa’ dei due immediati predecessori, a me pare proprio che Mattarella abbia voluto sunteggiare e mettere l’accento sulla sua opera in ‘fieri’ in modo particolare sulla evidenza e l’urgenza della ricostruzione sociale ed economica del Paese. Di qui l’accorato richiamo ai semplici significati della Costituzione, vista giustappunto nella visione prospettica dal basso, di cosa sta a significare per il cittadino il concetto di ‘Nazione’, del contatto che ognuno di noi avverte e deve avvertire fra la realtà statuale e sé medesimo allorquando frequenta una Scuola, una Biblioteca, un Ospedale ed ogni altra struttura utile e necessaria al bene individuale e collettivo.
Il richiamo, poi, scandito più volte ai valori insiti nella nostra Carta fondamentale appare appassionato ed altamente qualificato in un Uomo che ha vissuto dal di dentro la vita delle Istituzioni (parlamentare, ministro dei Rapporti con il Parlamento, della Pubblica Istruzione, della Difesa, Vice Presidente del Consiglio e, soprattutto, da ultimo, apprezzato membro della Suprema Corte). Personalmente, sono convinto che l’Uomo sarà un severo ed attento custode della Costituzione e ritengo anche che la sua dirittura morale, la sua specifica preparazione giuridico-costituzionale sia garanzia di assoluta imparzialità. Nessuno si faccia illusioni di trovare in Mattarella l’uomo accondiscendente, che firma ogni e qualsiasi provvedimento legislativo senza aver prima sottoposto ogni virgola all’attento vaglio di merito, alla luce della Carta della quale conosce alla perfezione ogni dettaglio e sfumatura.
Per questo dico che, accanto ad un Presidente del Consiglio ciarliero, demagogico nel fare promesse su promesse, sovente incoerente rispetto ai programmi a suo tempo tanto strombazzati, ci voleva proprio un Presidente “veramente inclusivo”, serio, equilibrato, sobrio e preparato, un uomo che ama nel profondo le Istituzioni e che, soprattutto, appare slegato dai giochi di Palazzo avendo già dimostrato, in più occasioni, la sua assoluta indipendenza di giudizio. Credo proprio che il giovin toscano troverà nel Quirinale un attento controllore dell’operato di un Esecutivo, fin qui eccessivamente disinvolto in fatto di ‘riforme’ quanto meno opinabili sotto il profilo costituzionale, che ha fin qui ecceduto in voti di fiducia, che ha manifestato negligenze e ritardi nella emissione di decreti attuativi e via ‘cantando’…